io non riesco a guardare solo da un lato. è un limite, ora lo so. e dire che porto gli occhiali fin da quando ero bambina. anche se ormai solo perché fanno parte di me. anzi: solo per certificare la necessità di correggere un modo di vedere strabico e reattivo che, se non educato, saprebbe confondere i più. quando ho smesso di avere bisogno delle sue cure ho scritto all’oculista da cui andavo da più di vent'anni: se è vero che gli occhi sono lo specchio dell’anima, grazie a lei, nessuno mai vedrà in me un’anima storta.
scrissi così ma non so se riuscirei a scriverlo ancora. solo dopo, infatti, ho capito che i miei occhi sono poco interessati a me, al mio corpo, alla mia anima. i miei occhi sono presuntuosi e pretendono di essere lo specchio del mondo, di cogliere il dettaglio che svela il trucco, di interpretare nella giusta sequenza i tanti piccoli segnali luminosi degli altri.
così io noto l’uomo con la testa tra le mani seduto per terra tra le macchine e non la donna famosa e piena di gioielli sul marciapiede. sento due ragazzi litigare e le loro parole mi colpiscono più dei baci tra i due davanti a me. e cerco di mettermi nei panni dei pakistani con tutte quelle rose in braccio e, non so, mi sembra di riuscirci. prendo il caffé da sciascia e mi identifico di più con la ragazza che vende calzini fuori e che mi chiama sorella che con quella al banco, con tailleur nuovo e capelli liscissimi, che sgomita per conquistare i centimetri necessari al suo cappuccino (facendo quasi cadere il mio) e che non smette un attimo di urlare al telefono frasi senza senso su diritto amministrativo e penali.
vado a prendere viola a scuola e i ragazzini neri lì intorno equivocano la mia gentilezza e cercano, tristemente, di approfittare di me e del mio sorriso. e io sono stanca di questi trucchi ma ci parlo e cerco di spiegare, finché arrivano altre mamme che gli urlano di stare lontano dai bambini con una tale violenza che quei ragazzi prendono i braccialetti e i loro pochi anni e se ne vanno senza fiatare e senza neanche guardarmi.
pedalo su piazza dei quiriti e sento mariti che urlano parolacce a mogli anziane e vedo quelle mogli salire in macchina rassegnate e infelici. ascolto una ragazza con le lacrime agli occhi parlare al telefono e, mentre aspetto l’autobus, non penso che a lei. non mi accorgo neanche della fila immensa davanti a un negozio, una signora dice che dentro c'è fedez. ma io ascolto la ragazza e qui e là provo a ricostruire qualcosa e quello che ricostruisco è doloroso e non si intona per niente con il sole scanzonato che sempre si pretende da questa città o con le strade piene di lusso e vetrine che calpestiamo ogni giorno o con le unghie laccatissime dell'autista dell'atac in cassa integrazione.
leggo di barboni che muoiono di freddo aggrappati alle loro bottiglie di vino in bustina e noto che è solo una piccola frase persa tra la sciattezza delle notizie locali. prima dei consigli gourmet per un weekend romano, prima delle segnalazioni del sommelier, prima delle pagelle ai ristoranti e i voti al fritto misto dei lettori. ripenso al senzatetto che viveva qui sotto, il giorno che alle undici di mattina ancora dormiva e aveva intorno i resti della zuppa che gli avevo portato la sera prima. sembrava fosse esplosa, tanto era sparsa ovunque. troppo ubriaco per mangiarla, per vederla o per vivere in un mondo così. ed io sfioravo con il piede il tovagliolo che avevo lasciato sulla zuppa e capivo di non poter essere niente. niente per quelle persone, niente per questo tempo. niente.
ovunque vedo sconfitta, disfatta, amarezza. ed io non ce la posso fare ma, in un certo senso, mi sento avanti. perché so già che accumulare roba non è soluzione, so già che non è mettendo venti centesimi nel cappello di un mendicante che compri il diritto di girarti dall'altra parte. lo devi guardare negli occhi, devi soffrire insieme a lui dello strano posto in cui siamo capitati, devi dargli qualcosa che servirebbe anche a te, non devi aspettarti niente in cambio.
e mi sembra di essere ancora su via condotti durante un vechhio flash mob. ero con il mullah e camminavamo con la bocca piena di dentifricio e lo spazzolino da denti in mano. divertiti e pieni di consapevolezza, dovevate vederci, continuavamo a lavarci i denti davanti a commesse attonite e signore impellicciate che si rifugiavano tra le guardie giurate dei negozi di lusso. e so che questo non va bene per mille motivi, primo tra tutti perché sono passati più di dieci anni. ma mi sembra di essere ancora lì perché tra quelle vetrine non c'è ancora niente per me, niente che possa servire la mia causa, niente che io sappia vedere. solo superfluo.
non soffri di meno se il tuo cappotto costa il triplo del mio, non è meno triste piangere attaccata all'ultimo modello di iphone, non funziona così. sono solo frivole illusioni. la verità è più nelle persone ai bordi, in certi sguardi contenti di raccontare. nello stupore, triste quando te ne accorgi, di scoprire che un'italiana sta parlando con loro. e non sanno che il loro stupore mi stupisce più della cecità dei miei fratelli d'italia, non sanno che spesso sono meglio dei molti cui si rivolgono con ossequioso rispetto e gentilezze quasi sempre sprecate.
la verità è che vediamo quello che vogliamo vedere. tutti registi dell'unico film che realmente interessi: quello in cui siamo protagonisti e spettatori insieme. e questo è il mio film, questo è quanto anni di occhiali e oculisti mi consentono di vedere oggi. forse dovrei rilanciare e girare a occhi chiusi. non più vedere, non più intrecciare storie di sfuggita. lasciare che le persone siano solo manichini che vivono giusto il tempo di sfiorarmi. e a stento guardarli, inutili figuranti. niente più narrazioni mentali appese all’orlo scucito della gonna della ragazza in fondo, niente metafore a buon mercato sullo stanco sovrappeso del pensionato all’edicola, niente entusiasmi eccessivi se un bambino mi sorride dal passeggino mentre la mamma chiacchiera al cellulare. niente. non so se così sarei più felice, né se avrei mai la forza di spingere la mia mente (molto più testarda dei miei occhi) a chiudersi sulla vita e pensare solo a sé.
io respiro questa tensione urbana e mi sento viva. con le luci della centrale elettrica nelle orecchie accelero verso casa, l’immondizia ai bordi delle strade, i resti di un pasto sul marciapiede, bottiglie, gente sdraiata per terra, piumoni nascosti sotto i cavalcavia. accelero e mi sento contemporanea, autentica, vera, qui.
e si fermavano i tram per deridermi, e si fermavano i tram per deridermi, e si fermavano i tram per deridermi, e si fermavano i tram per deridermi, e si fermavano i tram per deridermi...
mamo, grazie! l'ho appena stampato... ora leggo! :-)
Scritto da: manu | mercoledì, 06 maggio 2015 a 12:03
http://journal.sjdm.org/7303a/jdm7303a.htm
Scritto da: mamo | domenica, 03 maggio 2015 a 22:52
come i tuoi. scrivi un post solo per me, dài.
Scritto da: manu | martedì, 21 aprile 2015 a 15:00
(Ti leggo, ti recupero nelle mie letture di blog, con tutto il piacere che le parole generano al di qua della tua tastiera. Che grandi occhi i tuoi, manu.)
Scritto da: Laura | domenica, 19 aprile 2015 a 23:03
e invece, eccoti! non sai come sono felice di rileggerti... :-)
Scritto da: manu | giovedì, 16 aprile 2015 a 10:51
ho provato a commentare ma non sono stato registrato...beh, se nemmeno il tuo blog mi accoglie butta malissimo :-)
Scritto da: stefano erasmo | mercoledì, 15 aprile 2015 a 22:27
quali tradizioni? contraddici pure! :-D
Scritto da: manu | martedì, 14 aprile 2015 a 13:23
Uhmmm... come si suol dire m'inviti a nozze. È giusto quel che dici, sono un uomo legato alle tradizioni e non contraddico mai una donna, conoscendone gli effetti devastanti.. hahaaaaa...ma secondo me ci sarebbe tanto da dire sull'argomento e relativamente agli esempi che hai fatto e quindi, ci scrivo un post, citandoti ovviamente, così allarghiamo la discussione e ti spiego come la penso.
A dopo quindi. ☺
Scritto da: arthur | lunedì, 13 aprile 2015 a 16:34
arthur, avrei moltissimi esempi... non so: i blog senza commenti? comunicano o si esprimono? i libri? i film? quanto un regista vuole, alla fine, comunicare? secondo me noi spettatori troviamo dei segnali nelle espressioni di un autore e comunichiamo con quelli. ma magari le intenzioni erano altre e magari i segnali che cogli tu sono diversi da quelli che coglierei io. e tanto basta a mettere in crisi tutta l'ipotesi comunicativa... o no? :-)
mamo, cavallerescamente vorrei risponderti che se ti avessi incontrato me lo ricorderei... :-D ma penso che sia successo quasi sicuramente, ci andavo spesso e non trovavamo mai parcheggio lì intorno: vuoi che, nel frattempo, non sia passato uno svedese in pectore in bicicletta? :-*
Scritto da: manu | lunedì, 13 aprile 2015 a 14:45
quindi vuoi dire che magari ci siamo visti di sguincio quando io passavo in bicicletta davanti allo studio del tuo oculista (2-300 m da casa mia) proprio mentre tu arrivavi per un controllo?
Scritto da: mamo | domenica, 12 aprile 2015 a 09:30
Non ne sono convinto, e visto che sto per partire rimando la discussione a dopododomani, ma se nel frattempo mi parli di quegli esempi...
Magari ci scrivo un post. ☺
Ciao e buon fine settimana. ☺
Scritto da: arthur | sabato, 11 aprile 2015 a 15:02
io penso, invece, che esprimersi e comunicare siano due aspetti opposti. e ci si può esprimere anche senza comunicare, avrei decine di esempi a riguardo. :-)
e sì, arthur, la mia città è l'aquila. purtroppo e per fortuna. mi sento privilegiata per essere nata e cresciuta lì ma, nello stesso tempo, mi ferisce moltissimo vedere come sia ridotta oggi, nell'indifferenza dei più. solo chi la conosceva può sapere quanto fosse meravigliosa e bella e piena di cultura.
Scritto da: manu | sabato, 11 aprile 2015 a 12:38
Scusa Manu, non so perché ma per una strana associazione di idee ho avuto come una specie di lampo e… ma la tua città è L’Aquila?
Mi pare che quando ci siamo conosciuti o dopo un po’ forse, c’era stato il terremoto a L’Aquila, sbaglio?
Scritto da: Arthur | venerdì, 10 aprile 2015 a 16:58
Beh, credo che le due cose vadano di pari passo, non puoi comunicare senza esprimerti e viceversa.
E visto che la settimana sta per finire, che dove mi trovo io non c’è il mare, mannaggia di una mannaggissima mannaggia, direbbe l’amico Alan, che fuori c’è il sole e che le prospettive del sabato e della domenica sono esclusivamente lavorative – devo sistemare la cantina che per una perdita di un tubo ho dovuto svuotare – ti auguro buon fine settimana e se per caso ti venisse voglia di andare al mare – sì, il mare lo amo con tutte le mie forze – salutamelo, ma tanto, tanto, tanto.
E detto questo, non pensare che io sia matto, anzi, dippiù, dippiù. :-)
Ciao!
Scritto da: Arthur | venerdì, 10 aprile 2015 a 15:43
arthur, forse, alla fine, si tratta dell'eterno dilemma: comunicare o esprimersi. :-)
Scritto da: manu | venerdì, 10 aprile 2015 a 14:32
Sì, è vero, ma non mi meraviglio di questa coincidenza. Sono andato a leggere, simpaticissima storiella, che esprime il senso di quello che dovrebbe essere l'obiettivo di ognuno di noi.
E qui non si tratta di essere buoni o quant’altro, ma solo un po’ attenti a ciò che ci circonda. Non siamo un’isola felice e chi pensa di vivere chiuso nel suo piccolissimo emisfero in fondo non si rende conto di cosa si perde e tra tutto, il rispetto di se stesso.
Ma adesso vorrei io raccontarti una storia, vera purtroppo. C’era una volta un’artista, o perlomeno lui credeva di esserlo e chi gli stava accanto lo assecondava in questa sua convinzione. Un musicista per intenderci, che una volta raggiunti tutti gli obiettivi di studio possibili e immaginabili, aveva deciso che l’unica cosa che gl’importava era di suonare solo per se stesso. Gli ho obiettato che poteva essere un modo per non cercare un confronto e lui mi ha risposto che era l’ultima cosa che gli interessava, il parere degli altri ovviamente. Mi capita alle volte di sentirlo suonare e la sensazione che provo è che quel suono sia come un lamento, senza un’anima, tecnicamente perfetto, troppo forse, ma privo del tutto delle emozioni.
Mi sono detto che forse era giusto così, lui non suonava per emozionare qualcuno, ma solo per se stesso e forse quel modo così viscerale e perfetto di procurare un suono, era il suo modo per emozionarsi.
Ma non commento oltre, altrimenti l’amarezza prende il sopravvento.
Scritto da: Arthur | venerdì, 10 aprile 2015 a 11:04
ah, mamo, tra l'altro ti ho pensato tantissimo mentre scrivevo questo pezzo perché, anche se forse te l'ho già raccontato: indovina dov'era il mio lungimirante oculista? :-)
Scritto da: manu | venerdì, 10 aprile 2015 a 09:41
alessio, grazie: mi sopravvaluti. sono andata di là a raccontare il tuo commento e la mia famiglia, tutta, è scoppiata a ridere senza aggiungere altro... fai tu! :-)
arthur, è vero. la tristezza nasce dal fatto che abbiamo scelta... ieri, leggendo qua e là, ho trovato ancora una volta (la terza!) questo nostro stesso concetto. qui. è incredibile quanto questo post di baol sia simile al tuo commento... non trovi? :-O
mamo, come mi è piaciuto quello che hai scritto! coglie così bene il senso di colpa e di contraddizione che volevo esprimere... in ogni caso, tranquillo, tu lontanissimo da te non potrai mai: sei troppo vasto. enorme. :-*
Scritto da: manu | venerdì, 10 aprile 2015 a 09:35
io guardo. mi intristisco. a volte. a volte penso ad altro. poi penso che pensavo ad altro e mi vergogno (di non essere quello che credo di essere). ma mica li posso aiutare tutti io! poi spendo €150 per la vernice della barca. mi compatisco un po' perche' non ho i soldi per andare in australia tutti gli anni. vedo mia figlia che anche lei guarda sempre meno. non ho tempo. ma ti pare che ggente che non capisce un cazzo guadagna stipendi paurosi? poi voto per un partito che mi vuole aumentare le tasse. penso che ci sono persone che non ce la possono fare da sole. non voglio controlli. vedo 5 uomini con la barba di 3 giorni vestiti a strati e ho paura.
ogni giorno sono un po' piu' lontano da quello che credo di essere.
Scritto da: mamo | giovedì, 09 aprile 2015 a 21:38
Già, una strana coincidenza, ma mica tanto a dire il vero, entrambi siamo davvero incuriositi su quello che ci gira intorno e entrambi non ci facciamo abbindolare dalle apparenze. Forse! :-)
Sai perché mi piace la fotografia e il ritratto in modo particolare? Perché in quel momento ho davanti a me qualcosa da scoprire. Generalmente quando fotografo qualcuno gli giro intorno e mentre lo faccio, parlo e lo faccio parlare. Si rilassa e allo stesso tempo incomincia ad avere fiducia e la sua parte migliore spunta fuori come per miracolo.
Saper guardare, saper vedere, non facile a dire il vero. :-)
Questo post l’avevo dedicato alla mia figlioccia e in quelle poche parole c’è tutto ciò che ho appena detto https://ilmondodiarthurphoto.wordpress.com/2009/11/23/guardami/
E poi, beh, è lontano dalle luci della ribalta che scorre la vita, ma anche dentro, con le sue contraddizioni che sono fatte di apparenza, che poi è un modo come un altro per sopravvivere, per accettare che il compromesso ci dia l’illusione di poter vivere meglio.
Quello che importa, credo, è la consapevolezza di ciò che vogliamo essere, ma non sempre purtroppo è possibile sceglierlo.
E allora il nostro sguardo alle volte è più triste dello sguardo che incontra, perché lui sa di non avere scelte e noi invece non ci rendiamo conto di come sia possibile che accada.
Evvabè!
Bel pezzo. :-)
Scritto da: Arthur | giovedì, 09 aprile 2015 a 19:27
MARDIN! Che post bellissimo! Ma come abbiamo fatto senza di te per tutti questi anni? Oggi mi sono accorto che mi sei mancata moltissimo. Quando passo da queste parti immagino le persone che ti sono accanto a come si sentiranno fortunate, credo sia un privilegio sentirti parlare e non lo dico per adulazione.... CIAO!
Scritto da: alessio | giovedì, 09 aprile 2015 a 19:22
kovalski, grazie. vorrei valere la metà di quello che pensi tu... sarebbe già un dono prezioso per me e per la mia voglia di riordinare tutto quello che non capisco. ma il dono più grande resta l'amicizia, l'ascolto, il fatto che dopo dieci anni, bene o male, siamo tutti ancora qua. :-)
xxx, invece erano gli occhiali, fidati! :-P
Scritto da: manu | giovedì, 09 aprile 2015 a 17:23
I tuoi occhi me li ricordo. Ho sempre pensato che vedessero più e meglio. Non ho mai pensato che fosse per gli occhiali.
Scritto da: xxx | giovedì, 09 aprile 2015 a 16:53
e le luci.
e tutto quello che ci dice, e tutto quello che ci troviamo in quelle frasi declamate e nelle giustapposizioni, e chissà se quello che ci troviamo ce l'ha messo lui o se ce lo troviamo noi...
e la manu.
e la tua scrittura. e quello che dici, e come lo sai dire. e qui non ho "chissà" o dubbi o domande. qui so. ché lo so che sei la scrittura che vorrei essere se sapessi scrivere come te. e lo sai da sempre, questo. che sono più di 10 anni che te lo dico. la mia scrittrice preferita. quella che vorrei saper essere.
<3 ;-*
Scritto da: kovalski | giovedì, 09 aprile 2015 a 16:26