non mi piacciono le foto sui profili, l'idea di sé che si nasconde dietro a un'immagine costruita ripetizione dopo ripetizione. un po' perché le immagini si specializzano via via in una riduzione di noi che vive di vita propria mentre diventiamo altro e questo, per assenza di esibizionismo e amore di verità, non fa per me. e un po' perché, secondo i miei schemi, solo a pochissimi, tra quelli che hanno il mio numero, spetta il diritto di avere foto mie sul loro telefono. il fabbro che mi ha cambiato la serratura, il vicino di casa che a stento mi saluta, il corriere che due giorni fa mi ha chiamato per avvisarmi di un pacco: perché mai dovrebbero vedere una foto di me in costume abbracciata ai miei figli? allo stesso modo, ovviamente, vorrei poter scegliere e non essere costretta a vedere il mio dottore mentre dorme nel suo letto con il pigiamino blu o la maestra di mo figlio in reggiseno sul divano con un gatto in braccio. è questione di pudore, di ambiti separati, di privato che deve restare privato.
il punto è che, in rete, se non spargi virtualmente e ovunque foto e immagini (di te, dei tuoi affetti, di quello che mangi, della tua vita) vuol dire che non ti accetti, che non hai ricordi, che hai delle insicurezze. ma io, e voglio sperare di non essere l'unica, non ho bisogno di mandare il mio nuovo taglio di capelli a destra o a sinistra per sapere che sono bella. non ho bisogno di fare la scema da sola davanti al telefono per sperare di esistere aspettando i commenti degli altri. (sono loro, se mai, a dover morire dalla voglia di fotografarmi!) non ho bisogno di sapere cosa pensa la mia vicina di casa dei miei vestiti stupidi o del mio andare in bicicletta sotto la pioggia. anche con due bambini sopra. io esisto. esisto al di fuori del set che ognuno, ogni giorno, costruisce intorno alla propria apparenza. ed esisto ben oltre il colore della mia gonna o della taglia che porto; oltre i simboli di riconoscimento e gli schemi di comportamento con cui si camuffa tutto il mondo.
spesso tramortita da chiacchiere senza senso alcuno osservo il fantasma di me che parla a ruota libera e benedico il mio poter delegare un'altra parte per le pratiche più noiose. anche quel fantasma è un simbolo ma almeno, al supermercato come per strada, vive e si relaziona con mondi reali e riproducibili. anche la mia foto davanti al bagdad café in corridoio è un simbolo ma osserva la parte più vera di tutta la mia vita: quella che passa realmente davanti a quella foto centinaia di volte al giorno.
una foto su un profilo virtuale, invece, è il simbolo di un simbolo e, come ci insegna baudrillard, il simbolo di un simbolo diventa un simulacro. cioé: un'apparenza che non rinvia ad alcuna realtà esistente ma che pretende di valere per quella stessa realtà. ed ecco il motivo per cui dopo anni di whatsapp, ad esempio, non avevo ancora una foto sul mio profilo: i simulacri mi intristiscono un po'. poi, la settimana scorsa, di colpo ho cambiato idea. e l'ho fatto per rilanciare un simbolo. un simbolo di verità.
ero a monti e, durante un giro in libreria, ho visto una foto molto bella perché silenziosa e, nello stesso tempo, piena di pensieri. era sulla copertina di un libro, un libro di sylvia plath dal titolo quanto lontano siamo giunti. lo tenevo tra le mani e pensavo a lei così vicina e, in un certo senso, così mia nei suoi diari. così lontana adesso come allora, eppure così qui grazie ai suoi scritti.
tornata a casa, e solo per prolungare la magia dell'incontro con una vecchia amica, ho cercato la foto in copertina: per vedere dove fosse stata scattata e per capire se ci fosse l'ambiguo ted hughes anche dietro quel suo attimo di tranquillità tramandata. ma quello che ho trovato ha preso completamente un'altra direzione e mi ha fatto in parte riconsiderare, in nome di quella stessa magia, l'idea che ho sempre avuto sulle foto in rete.
tra le immagini di sylvia plath, infatti, ho visto foto vergognose di donne che facevano le stupide davanti a forni spalancati, persone con la testa infilata nelle stufe a gas in minigonna, gente con la faccetta triste e i capelli depressi in cucina, donne riverse sul pavimento con i tacchi, modelli di forni a microonde con il suo nome...
e, va bene, tutto è relativo. va bene l'esibizionismo, la vanità, le decine di autoscatti di smorfie e facce imbronciate di cui moltissime persone riempiono la rete e le loro annoiatissime giornate. va bene l'ignoranza e il gusto letterario: per alcune persone sylvia plath e la sua opera non significheranno niente. va bene il cinismo: per alcune persone non significa niente il dolore degli altri, quell'umana disperazione che puoi leggere ovunque, anche e sopratutto tra quelle immagini stesse. va bene tutto. ma come si fa a mettere su una specie di set per riprodurre un gesto che ha distrutto una famiglia intera per almeno due generazioni?
quelle immagini sono oscene, solo questo. inchiodano una poetessa al suo destino e la riducono al suo ultimo atto estremo. ne fraintendono i motivi, la cristallizzano a simbolo di una pazzia che secondo loro fa ridere.
ecco perché ho scelto la foto qui sopra come immagine del mio profilo, per confondere il simulacro (che fa di tutto pur di prendersi tutti i nostri mondi virtuali), per proporre simboli più nutrienti di scrittura al femminile e per cancellare dalla mia mente la notizia che esistano persone tanto vuote. tramite quella foto voglio distinguere l'immagine di sylvia plath da quella del suo suicidio. voglio ricordarla su quel muretto, intenta nella sua lettura, concentrata su altro da sé. presente senza compiacimenti, bella anche senza il consenso degli altri, viva anche senza vedere nessuno per settimane e molto molto lontana da quell'isteria pazza con cui, spesso, si finisce per confonderla. niente a che vedere, insomma, con la specie di docufiction autografa che è diventata la vita oggi.
rubber breasts or a rubber crotch,
stitches to show something's missing? no, no? then
how can we give you a thing?
stop crying.
open your hand.
empty? empty. here is a hand...
laura, torna, davvero. se ho ripreso io... :-) intanto io rifletto sul buon senso come senso sottovalutato. ti abbraccio.
Scritto da: manu | domenica, 29 marzo 2015 a 10:46
Cara Manu, non sapevo se postare il mio commento qui o sull'ultimo post, che mi ha fatto riflettere (ho mai veramente, profondamente, pensato all'autore di un libro che ho amato? A quanto fosse presente nelle pagine che stavo leggendo?)...
Il buon senso un senso è sottovalutato per me: a volte coincide con il "risalire la corrente" e nonostante ciò richieda parecchia energia, vale la pena farlo funzionare, farlo camminare.
(No, vedi, non scrivo ahimé. E mi manca.)
Laura
Scritto da: Laura | sabato, 28 marzo 2015 a 12:16
ricordo tutto.
lo sai.
;-*
<3
Scritto da: kovalski | sabato, 28 marzo 2015 a 08:09
arthur, grazie, non lo avevo mai letto. richiama un po' la metafora dello spettatore un po' voyeurista che, se vuoi, è alla base anche del cinema. :-)
superg, che bello rileggerti! :-* è vero i miei post a volte sono lunghi ma a metà non si capiscono, fidati. ;-P
Scritto da: manu | venerdì, 27 marzo 2015 a 11:55
Usti... Vedo che non hai perso il vizio di scrivere (bene) cose lunghissime (e io non ho perso il vizio di leggerne solo metà:) )
Scritto da: SuperG | giovedì, 26 marzo 2015 a 23:21
Beh, allora a costo di intasarti il blog, non pocsso che farti leggere ciò che avevo scritto nel lontano 2009.
La vetrina
A volte è come entrare in una stanza buia dove si vedono soltanto dei piccoli fasci di luce che penetrano dalle persiane chiuse, altre invece sembra d’essere in un grande Open Space pieno di gente chiassosa e a fatica si riesce a sentire il suono della voce, ma un particolare in comune c’è sempre, due occhioni curiosi, a volte languidi, quasi sempre scuri e penetranti, che ti guardano vogliosi di sapere cosa è rimasto di quelle parole, di quei pensieri a volte scombinati, lasciati lì per suggellare un bisogno, aspettative, di ritrovarsi e ritrovare, o soltanto lasciati lì per il gusto di lasciare.
Ritorno, dopo ormai un anno e mezzo in giro per blog e ora anche da blogger - un neonato di appena due mesi - a parlare di questo mondo che sempre di più mi affascina, lasciandomi quasi senza parole per certe oscure miscele che vengono mischiate in enormi calderoni, come fossero pozioni magiche, imbevute, farcite di una miriade di parole che penetrano, che lasciano riflettere, a volte sconcertano anche, ma credo tutte con una cosa in comune: comunicare la voglia di non sentirsi soli.
Quanta acqua passata sotto i ponti! Un po’ di tempo fa a chi soffiava felice sulle candeline di una torta per festeggiare un anno di blog, scrivevo: “E allora, ancora auguri vivissimi per un anno ultracolmo di vita vera, vissuta aldilà della vetrata, al riparo da sguardi indiscreti, certa di ciò che vuoi comunicare ma, ignara di ciò che realmente, chi legge, pensa o magari sarebbe sul punto di dirti. Tanti commenti, tante frasi sussurrate e forse, forzatamente di convenienza, sempre e comunque telegrafiche, un ci sono anch’io, tutti insieme appassionatamente ma, quanti realmente insieme.“
E poi, ancora: ” Forse il blog è come un diario - lo ha detto qualcuno - forse è come il lettino dello psicanalista, dove qualcuno ad ascoltare c’è sempre e comunque - lo dico io - magari soltanto un punto d’incontro per vogliamoci tutti bene, un solitario soliloquio e anche i commenti quindi, sono piacevoli ma non indispensabili, o forse chissà, prova magari a spiegarmelo tu – scrivevo - che se mi convinci, non prendermi alla lettera, la prossima volta anziché un commento lancerò anch’io un POST e nell’attesa dei commenti, continuerò a postarmi, sempre comunque in vetrina, una bella vetrina di me stesso.“
Ed eccomi qua, infatti, non a caso dopo tanto tempo, non che abbia cambiato idea su tante cose, anzi, alcune sono radicate dentro di me, ma forse con una visione più verosimile su quello che smuove questa voglia di apparire dietro a questa vetrina, ed ora io sono il primo ad esserci, magari con lo straccio in mano per togliere aloni fastidiosi che potrebbero in qualche modo offuscarne la visione.
E, infatti, non a caso parlo di “occhioni curiosi che guardano”, perché ognuna delle persone che visito la immagino così, ne vedo i tratti, a volte anche l’espressione e di qualcuna sento persino il cuore che batte, tanta è la forza che riesce a comunicarmi. Una piccolissima cerchia però, accuratamente selezionata, racchiusa in una dimensione difficile da immaginare, un po’ come gli amici che incontri nei giorni di festa, senza i quali, tutto sembrerebbe un’altra cosa.
---
Ciao, buona serata a te. :-)
Scritto da: Arthur | giovedì, 26 marzo 2015 a 19:56
quindi la notizia è che siamo perfettamente d'accordo... :-D anch'io faccio riferimento all'anima delle persone e tutto il resto conta pochissimo. ho conosciuto moltissimi lettori/scrittori di blog e posso garantirti che il metodo funziona: anche se sparsi per l'europa sono, ancora, i miei migliori amici. per anni ci siamo plasmati l'uno a misura dell'altro e, credimi, anche se non ci vediamo quasi mai siamo sempre perfetti! :-) proprio pensando a loro nel commento di prima ho scritto quel sai esattamente chi sono e non ho fatto riferimento a nome e cognome se non per dirti che firmo questo blog perché non cerco l'anonimo ampio consenso che, giustamente, temevi tu. anche le persone che hanno letto la quadrilogia di elena ferrante la conoscono benissimo, si sentono suoi amici e sono quasi del tutto disinteressati a scoprire se sia un amico o un'amica. se sia giovane o vecchia. se sia bello o brutto. e qui torniamo al punto: contano le parole, i pensieri, le idee, le emozioni. i capelli meno, ammettiamolo. :-) poi, se riesco, ti copio un pezzetto da un libro che ho finito qualche giorno fa... baci e buona serata, arturo.
Scritto da: manu | giovedì, 26 marzo 2015 a 19:47
Sorrido al pensiero del caso Ferrante (sei per caso una veggente?) e in effetti devo dire che è da un po' di tempo che mi frulla per la testa di scrivere qualcosa usando uno pseudonimo o solamente Arthur, il nome che uso nel blog e che poi è il mio vero nome, Arturo.
Ho incominciato a farlo firmando la grafica di alcune copertine di libri e se dovessi scrivere un libro - il famoso sogno nel cassetto - è probabile che lo faccia ancora, ma solo perché credo che l'identità vada al di là di un nome o di un cognome, di un curriculum o di quante cose hai fatto e bla bla bla.
E Elena Ferrante è la prova di quanto sia vera questa cosa.
Ti sembrerà strano, ma questa cosa l’ho imparata in questi sei anni di blog. Non è un modo per confondere come alcuni dicono realtà e virtualità, ma solo di avere consapevolezza che noi tra queste pagine, dietro ad una tastiera e ad un video, siamo gli stessi di ciò che siamo nella quotidianità, con gli amici o con le persone che amiamo.
Beh, è un piacere. Ben tornata. :-)
Scritto da: Arthur | giovedì, 26 marzo 2015 a 19:08
ma certo, sono d'accordo con te. e aggiungo che, dal mio punto di vista, sono un po' due aspetti dello stesso problema. anche se quasi antitetici nel modo di presentarsi. io, per esempio, rivendico con tanto di nome e cognome la maternità sulle mie parole. quando sai esattamente chi sono, proprio come scrivevi tu, cosa aggiunge farti sapere se sono bionda o mora? e, anzi, non è che la forma di chi scrive può distrarre dalla sostanza scritta? e non è che le persone che si fotografano per strada facendo facce strane vogliono proprio quello? :-) (qui, già lo so, finiremo a parlare del caso ferrante!)
Scritto da: manu | giovedì, 26 marzo 2015 a 17:35
Sì, sul fatto che ci sia una deriva esibizionistica in rete e non solo, lo condivido, comunque sia sì,sei stata abbastanza esplicita nel tuo post, ho voluto soltanto mettere in evidenza che la foto per me non è determinante, le persone le giudico per altro, per ciò che sono realmente, cuore, testa, anima e cervello, al di là del loro aspetto fisico, che in una società dell'apparire senz'altro conta, ma che per me non è determinante.
Sulla "dignità che si lega a un certo grado di riservatezza" la vedo non tanto relativa a quello che si mostra, ma a quello che si racconta, a volte senza alcun pudore, forse per il fatto che in rete circola una sorta di anonimato la gente si scatena e, ecco, questo non mi sembra giusto, non lo sopporto, c'è un limite che secondo me non bisogna oltrepassare, altrimenti non è più una confidenza, se fatta a tutti, ma solo un modo come un altro per piangersi addosso cercando un ampio consenso che per necessità di cose arriva ed è scontato.
E’ della spettacolarità dell’emozione che forse bisognerebbe parlare e in questo senso la “realtà”, con media, programmi Tv e quant’altro ne è protagonista.
Scritto da: arthur | giovedì, 26 marzo 2015 a 12:01
alessio, ma il punto è proprio questo: uno non deve sempre scegliere pose costruite ad arte per ottenere questo o quell’altro… o sì? dici che essere semplicemente se stessi risulterebbe troppo complicato?
arthur, ognuno è libero di pubblicare quello che vuole, ci mancherebbe. io puntavo il dito sulla deriva del processo. su come un’icona, all’inizio identificativa, sia diventata invece portatrice di molti più contenuti del contenuto stesso. e su come l’esibizionismo fine a se stesso finisca per distruggere qualsiasi tentativo di comunicazione vera. è chiaro che non tutti usano le foto così… mi viene il dubbio di essere stata poco esplicita nel mio post! :-P
kovalski, grazie, come sempre. siamo d’accordo: è (anche) una questione di dignità e di senso del valore di sé. sulle foto con la testa nel forno, che dire, il figlio maschio di sylvia plath si è suicidato nel 2009 e questo dovrebbe far capire la portata del disastro che quel suicidio ha significato. scherzarci su mi sembra come fare ironie sul terremoto dell’aquila, per fare un esempio più vicino a me. forse, come sempre, semplicemente ho un senso dell'umorismo particolare. io non ridevo... ricordi? :-*
albafucens, scopro con te che la saggezza è una questione di cuore… e all’improvviso mi sento saggissima! :-) (non avevo dubbi sul fatto che adorassi sylvia plath!)
laura, a volte, invece mi sento pesantissima… come se non potessi più compiere un solo passo. è il buon senso, dici? è qualcosa di contrario al flusso generale delle cose e, purtroppo, mi sembra che pretenda sempre più energia. (che facciamo: io torno a scrivere e tu non scrivi più? :-*)
Scritto da: manu | giovedì, 26 marzo 2015 a 10:03
(Quando mi fermo qui a leggerti, volo sopra gli ingranaggi che talvolta impigliano anche i miei pensieri... E imparo che il pudore, il buon senso, la pienezza interiore hanno ali leggere.)
Scritto da: Laura | mercoledì, 25 marzo 2015 a 15:01
... ops sfuggì...
e tu il cuore ce l'hai :**
Scritto da: albafucens | martedì, 24 marzo 2015 a 08:05
sagge parole... come dice una frase,
"la saggezza, contrariamente a ciò che si racconta non viene con l'età. Saggio non è una questione di tempo, è una questione di cuore e il cuore non è nel tempo" (Christian Bobin)e poi adoro Silvia e la sua poetica
Scritto da: albafucens | martedì, 24 marzo 2015 a 08:05
come al solito.
tu, come al solito. e come sempre. da anni e anni.
a parte gli iati e le assenze. tu sei come sempre:
mai banale. intelligente. con un angolo visuale originale sulle cose e sul mondo.
e uno può condividere o non condividere, ma non può trovare scontato quello che dici.
anche quando parli di un tema per il quale mi sento tirato in ballo :-P
e anche se non al tuo estremo ( ;-P ), però condivido la ritrosia sulle immagini personali messe alla mercé del mondo tutto.
e soprattutto, condivido la questione della dignità che si lega a un certo grado di riservatezza, e credo che questo in fondo sia aver cura e avere il senso del valore di sé.
detto tutto questo: quelle che le foto con la testa nel forno, beh loro sì che avrebbero dovuto accenderlo il gas. e anche un accendino, subito dopo. e dare così un senso al loro essere delle povere coglione. e farlo in modo luminoso e risplendente. ;-D
Scritto da: kovalski | lunedì, 23 marzo 2015 a 22:48
Era tanto che non ti leggevo in effetti e in questo tuo ultimo brano mi è venuto in mente l’idea che mi ero fatta di te qualche post fa. Una bella idea ovviamente. :-)
Sai, non so se tu mi hai seguito nel frattempo e quanto in effetti, ma per certi versi sono d’accordo con te e per certi altri invece la vedo in maniera diversa, ma solo per giustificare certe mie scelte, ovviamente, è chiaro no? :-)
Quando ho aperto il blog non sapevo se mettere una mia foto oppure no, e alla fine ho optato per il sì, mettendo una mia foto che tra l’altro avevo utilizzato per un calendario fatto tra amici e che avevo trasformato come se fosse un ritratto ad olio. Oggi come avatar uso una mia mezza_foto, giusto per dare l’idea di chi io possa essere e essendomi convertito da poco a whatsapp, mannaggia, l’equivalente ma intera, cioè con il viso visibile.
Ma non m’interessa se devo essere sincero. Dopo sei anni di blog ho imparato che le persone non sono solo ciò che la foto rappresenta, anzi, certo aiuta, nel senso che appunto da un’idea di chi ci si trova davanti, ma spesso le persone le ho immaginate senza bisogno di vederle, ho sentito i loro sorrisi, le loro urla e i loro pianti forse più che se le avessi avuti davanti, perché ci vuole “impegno” per ascoltare, per sapere che comunicare è una piccolissima cosa che va al di là dal toccarsi o dal vedersi soltanto.
Infatti, spesso non faccio caso alle foto che accompagnano gli avatar, dopo un po’ le dimentico e quella persona se ho la possibilità di conoscerla meglio, me l’immagino a modo mio.
Che poi le foto rappresentino in nostro passato, beh, senza dubbio, ma sono anche del parere che metterle in rete non sempre voglia dire esibizionismo e vanità, alle volte senz’altro, ma lascio loro la libertà di farlo, in fondo, cosa mi toglie?
Al massimo un sorriso, ma dopo vado avanti.
Ps: simpaticissimo il commenti di XXX!!! :-)
Scritto da: arthur | lunedì, 23 marzo 2015 a 16:20
Cara Manu, forse sono io che non ho capito niente del mondo e delle ragazze ma quello che hai scritto mi piace e intercetta un ragionamento che porto avanti da qualche mese con due miei amici.... Molto spesso le ragazze conosciute su facebook dal vivo sono molto molto diverse da come si ponevano sul web. Spesso la realtà è migliore e più naturale, mentre le pose che scelgono e gli atteggiamenti che usano risultano spesso volgari e troppo costruiti. Fai bene!
Scritto da: alessio | lunedì, 23 marzo 2015 a 15:50
bene, xxx, noto con piacere che hai colto in pieno il significato profondo del mio post... :-D
Scritto da: manu | lunedì, 23 marzo 2015 a 13:53
Il mio commento di prima non è mai apparso. Dicevo che sono daccordo, ma che se avessi la metà del tuo fascino e la tua età mi esibirei... e come!
Scritto da: xxx | lunedì, 23 marzo 2015 a 13:29